Cosa resterà di questo 2020? Playlist di brani da conservare nel cassetto #parte 2
Il quartetto d'esordio di questa seconda playlist, nocciolo duro della selezione, è tutto al femminile.
A partire dalla sempre soave Norah Jones e la sua "I'm Alive", frutto della collaborazione con il guru dell'alternative country, Jeff Tweedy. L'intro in piena impronta Wilco è presto sormontato da una rassicurante monotonia alla "Sunrise". Nel complesso un buon mix, peccato per la scelta di non estenderlo, almeno in parte, al cantato.
Meno relax nell'acclamatissimo nuovo album di Fiona Apple, "Fetch the bolt cutters", fresco di un bel 10 del non sempre generoso "Pitchfork". Bello tutto, ma la mia preferita è "Heavy Balloon", che ben valorizza la gran voce dell'artista.
C'è poi l'impegno LGBT di Anna Calvi, che torna su un brano del 2018 per un arrangiamento più essenziale in compagnia di Courtney Barnett. Il pezzo, ipnotico, si intitola "Don't beat the girl out of my boy".

Segue un brano più vacanziero e orecchiabile: "Things ain't changed" di L.A. Salami, che ho avuto il piacere di ascoltare dal vivo all'Alcazar (Roma) e che in questo singolo dimostra di essere cresciuto parecchio e bene.
Sempre orecchiabile - non fosse altro che per una delle migliori voci del momento - "One day she's here" di Marcus King. La produzione, tipicamente "americana", porta la firma di Dan Auerbach, che dopo Yola azzecca un altro protetto (aiutato dalla carriera ormai avviata della Marcus King's Band).
Uno stile "americana" tutto personale è, invece, quello dei Black Lips nella loro presa a bene "Rumbler". Gli sarò sempre grata per "Bad kids" e spero che continuino così: contaminando tutti i generi che possono.
Le cose si fanno più serie con Terry Allen, mostro sacro della musica country/blues, da me colpevolmente ignorato fino alla visita di Ryan Bingham, (godetevi il documentario al link), che lo omaggia spesso nelle sue "cantina sessions". Trovo che "Houdini didn't like the spiritualist" sia una piccola gemma da ascoltare con attenzione.
Chiudiamo la lista tornando da questa parte dell'oceano.
Ricordo che in tenera età passai svariati viaggi in auto a lamentarmi di un disco molto "eighties" del babbo: un best of degli Style Council. Premesso che oggi "You're the best thing" è uno dei miei brani preferiti e che devo delle scuse a papà, resto convinta che Paul Weller abbia reso molto di più nella parte solista della sua carriera (anche rispetto all'esperienza The Jam). L'ultimo singolo, "Village", riprende il suo lato più soul (alla "Broken Stones") e, anche se il testo è un filino banale, devo dire che mi piace un casino.

Link alla playlist spotify (comprensiva della prima parte).
Martina Bassotti

A partire dalla sempre soave Norah Jones e la sua "I'm Alive", frutto della collaborazione con il guru dell'alternative country, Jeff Tweedy. L'intro in piena impronta Wilco è presto sormontato da una rassicurante monotonia alla "Sunrise". Nel complesso un buon mix, peccato per la scelta di non estenderlo, almeno in parte, al cantato.
Meno relax nell'acclamatissimo nuovo album di Fiona Apple, "Fetch the bolt cutters", fresco di un bel 10 del non sempre generoso "Pitchfork". Bello tutto, ma la mia preferita è "Heavy Balloon", che ben valorizza la gran voce dell'artista.
C'è poi l'impegno LGBT di Anna Calvi, che torna su un brano del 2018 per un arrangiamento più essenziale in compagnia di Courtney Barnett. Il pezzo, ipnotico, si intitola "Don't beat the girl out of my boy".

Chiude la serie femminile Laura Marling, songwriter ormai affermatissima nell'emisfero folk. Inizialmente pensavo di inserire "Held Down", ma nel tempo ho preferito la schitarrata un po' stile "Me and Julio down by the school yard", un po' "Big Yellow Taxi" di "Strange Girl". Quantomeno è leggermente più allegra. Lo faccio pensando agli amici e al loro "non sia mai che se divertimo in macchina tua".
Cambiamo genere, in tutti sensi, con "Cut me" di Moses Sumney. Senza entrare nel dettaglio, posso solo dire che ne sono rimasta parecchio colpita e che ad ogni ascolto ne scopro nuovi particolari interessanti.
Segue un brano più vacanziero e orecchiabile: "Things ain't changed" di L.A. Salami, che ho avuto il piacere di ascoltare dal vivo all'Alcazar (Roma) e che in questo singolo dimostra di essere cresciuto parecchio e bene.
Sempre orecchiabile - non fosse altro che per una delle migliori voci del momento - "One day she's here" di Marcus King. La produzione, tipicamente "americana", porta la firma di Dan Auerbach, che dopo Yola azzecca un altro protetto (aiutato dalla carriera ormai avviata della Marcus King's Band).
Uno stile "americana" tutto personale è, invece, quello dei Black Lips nella loro presa a bene "Rumbler". Gli sarò sempre grata per "Bad kids" e spero che continuino così: contaminando tutti i generi che possono.
Le cose si fanno più serie con Terry Allen, mostro sacro della musica country/blues, da me colpevolmente ignorato fino alla visita di Ryan Bingham, (godetevi il documentario al link), che lo omaggia spesso nelle sue "cantina sessions". Trovo che "Houdini didn't like the spiritualist" sia una piccola gemma da ascoltare con attenzione.
Chiudiamo la lista tornando da questa parte dell'oceano.
Ricordo che in tenera età passai svariati viaggi in auto a lamentarmi di un disco molto "eighties" del babbo: un best of degli Style Council. Premesso che oggi "You're the best thing" è uno dei miei brani preferiti e che devo delle scuse a papà, resto convinta che Paul Weller abbia reso molto di più nella parte solista della sua carriera (anche rispetto all'esperienza The Jam). L'ultimo singolo, "Village", riprende il suo lato più soul (alla "Broken Stones") e, anche se il testo è un filino banale, devo dire che mi piace un casino.

Si inserisce in tema british "Will you Stay?" di Paolo Violi, musicista romano emigrato nella culla della produzione londinese: "nientepopodimeno" che Abbey Road. Il brano è una raffinata ballata country, ma la voce e alcuni dettagli dell'arrangiamento tradiscono la diversa formazione del suo autore: dai Talk Talk di Mark Hollis, alla classica contemporanea (occhio alla marimba dell'intervallo strumentale). Gli elementi per farsi strada ci sono tutti e se non dovesse tornare in patria potremo sempre citare Giorgiona e il suo "ma italiano rimaneva".
Link alla playlist spotify (comprensiva della prima parte).
Martina Bassotti

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