Plastica in Paradiso

Patrizia Stipcich, biologa marina e dottoranda di ricerca in Architettura e Ambiente, nel ramo di ecologia marina, ci regala questo post sulle meraviglie del mare. Attualmente vive in uno dei luoghi più belli d'Italia: la Sardegna, ma ha girato in lungo e in largo per studiare i mari e i suoi segreti.  Con questo interessante post condivide con noi parte delle sue incredibili esperienze e alcuni tristi effetti dell'inquinamento. Non aggiungo altro per non togliere spazio alla lettura che è davvero affascinante: grazie Patrizia e a tutti coloro che condivideranno il post! Laura


Se dovessi associare un’immagine al senso di libertà non avrei dubbi: chiuderei gli occhi e di fronte a me troverei l’oceano.  
Mentre osservate questa immensa distesa blu, vi fermate alla superfice o andate in profondità? Vi domandate quanti animali e vegetali vivono lì sotto? Quante strane dinamiche stanno accadendo in questo preciso istante?
Io ho sognato di studiare gli oceani da sempre e col tempo ho avuto la possibilità di lavorare in paesi tropicali come Maldive, Madagascar e Indonesia. Piccoli paradisi terrestri sono caratterizzati da uno stile di vita molto semplice. Gli abitanti sono sempre pronti a regalare grandi sorrisi e mostrano un profondo senso di ospitalità. D’altronde questi paesi basano la loro economia sul turismo e sulla pesca che dipendono entrambi dalla salute degli oceani e dei loro principali habitat, come la barriera corallina. 
Alle Maldive ho avuto la fortuna di lavorare nell’atollo di Baa, famoso per la presenza di una delle più grandi popolazioni di Mante di tutto il mondo. Qui c’è un’area marina protetta, Hanifaru Bay, che accoglie nei suoi giorni migliori più di 100 mante che seguono le correnti alla ricerca di cibo: il plankton. Essere circondata da questi animali immensi mi ha fatto provare emozioni a dir poco indescrivibili.
In Madagascar, esattamente a Nosy Be, sono stata sorpresa da coralli in ottima salute, cosa che purtroppo alle Maldive non ho trovato a causa dello sbiancamento. Già dalla prima immersione sono rimasta stupita dalla bellezza di tanta biodiversità. Nosy Sakatia, un’isola vicina, è inoltre famosa per le enormi tartarughe verdi marine.
Raja Ampat in Indonesia è chiamato anche “l’ultimo paradiso” e capisco perché. Nel bel mezzo del Triangolo dei Coralli presenta barriere coralline completamente intatte, coralli molli e duri in totale salute, banchi di migliaia di pesci che ti nuotano intorno, squali, tartarughe, razze e mante. La biodiversità che abita questo luogo è immensa. Dal più piccolo organismo, il cavalluccio marino pigmeo ad organismi più grandi come le mante oceaniche che arrivano ad avere un’apertura alare di 7metri.
Questi tre paesi sono stati per me tre tipi di paradisi differenti accomunati purtroppo, oltre che da tante bellezze, anche dalla presenza di plastica in acqua e sulle spiagge. Mi viene in mente quando su una spiaggia del Madagascar ho trovato un castello di sabbia che includeva nella sua costruzione una bottiglia di plastica. È un’immagine che mi ha fatto tanta tenerezza: era mancanza di educazione o un modo particolare di riutilizzare quella bottiglia?
La plastica che arriva negli oceani può avere due destini differenti: mantenere grandi dimensioni e diventare quindi macroplastica o, a cause delle onde, del sole e della presenza di alcuni organismi, essere frammentata in tantissime piccole parti, a volte quasi invisibili agli occhi, e formare così la microplastica. La microplastica segue le correnti, spesso si unisce al plankton (organismi animali e vegetali incapaci di muoversi contro corrente e che seguono quindi il loro flusso) e viene dunque confusa come cibo da tantissimi organismi filtratori. Tra gli animali filtratori ci sono le spugne, i coralli, le ascidie, alcuni molluschi ed anche alcuni pesci. In natura tutto è ciclico e quindi le microplastiche hanno modo di tornare al loro punto di partenza: l’uomo. Le microplastiche ingerite dai vari organismi rilasciano sostanze chimiche tossiche che entrano nei tessuti e nelle parti, per esempio, dei pesci di cui noi ci nutriamo, con effetti negativi per il nostro organismo. 
Tramite il consumo, invece, di altri organismi come molluschi e crostacei, le micro o nanoplastiche (frammenti ancora più piccoli) possono arrivare direttamente nel nostro corpo. 
Per quanto riguarda il tema delle macroplastiche, dobbiamo ad internet e ai social il merito di averci avvicinato al problema, mostrandoci immagini forti di residui di cannucce o buste di plastica che mettono a rischio la vita di alcuni animali, come ad esempio le tartarughe marine. Quelle immagini valgono più di 1000 parole. Per finire, invito tutti a riflettere sul personale consumo quotidiano di plastica. Utilizzate borse o sacche in tessuto quando andate a fare la spesa? Evitate bicchieri e piatti di plastica anche quando avete ospiti? Dite al barman di portarvi il cocktail senza cannuccia? Il tempo di degradazione di una bottiglia di plastica può variare fra i 100 e i 1000 anni e tutti noi dovremmo cercare di limitare il nostro consumo di plastica e riutilizzare e riciclare ogni volta che è possibile. Avete impegni stasera? Vi consiglio un ottimo documentario sull’argomento: “A plastic ocean”. 
                                                                                                                                                Patrizia Stipcich

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