Ragazze di campagna

Di recente ho visto un film del quale ignoravo l'esistenza: Coal Miner's Daughter (in Italia "La ragazza di Nashville", nel rispetto della lunga tradizione nostrana di storpiare titoli). È una biografia romanzata della vita di Loretta Lynn, star del country anni '60/'70. Il fare "sempliciotto" della protagonista, reso forse troppo forte nel doppiaggio italiano, è una costante di tutta la storia ed è uno degli aspetti che colpisce di più. Dalle miniere del Kentucky, ai grandi palchi della scena country, passando per radio e promozioni discografiche, Loretta sembra sempre inconsapevole e spaesata.
Una provincialità fragile e poco avvezza al mainstream, sottomessa da un marito burbero e gretto, che però - va dato atto - ha l'intuizione di farla cantare, nonostante svariati figli ormai a carico.

Loretta (Sissy Spacek, premio Oscar per l'interpretazione)  

A vederla oggi fa quasi rabbia, ma in fondo è tipico del country - che proprio della vita di provincia è emblema - questo senso di inadeguatezza e abbandono della donna verso il proprio uomo. Penso ad un'altra grande star del genere, Dolly Parton (sicuramente molto più "dritta"), e alla sua Jolene, che prende spunto da un episodio di vita reale: una cassiera dai capelli rossi ammicca il marito in fila. Ed ecco il dramma: "He talks about you in his sleep, there's nothing I can do to keep from crying when he calls your name Jolene". E così strass, frange e stivali di cuoio nascondono una fragilità tutta femminile.

Oggi, però, l'impressione è che la modernità abbia permeato anche questo genere musicale e dallo stereotipo della ragazza di campagna, di recente interpretato dalla divina Jessica Lange nella serie "The Politician", si è passati ad una forma di emancipazione sempre più evidente, nei testi e nella costruzione del personaggio, ma anche nello stesso arrangiamento.



Ho già scritto di Margo Price e della sua vita a Nashville, ma consiglio vivamente di vedere il documentario girato con Ryan Bingham, nel quale si parla di cantautorato, trascorsi di vita e cavalli. Perché, sì, comunque non ci sarebbe country che si rispetti senza amore e tanta campagna.
Di spessore ancora più elevato (qui siamo in pieno "americana") Brandi Carlile, che attualmente è forse la più grande della scena. La Carlile vive con la compagna e le loro due figlie, si spende spesso per campagne sui diritti civili e inizia anche a produrre dischi di livello, rappresentando un punto di riferimento per gli artisti della sua generazione e non solo, considerando che ha co-prodotto il disco fresco di Grammy "While I'm living" di Tanya Tucker, paladina country anni '70.
Insomma, un mondo in evoluzione, in cerca di equilibrio tra la devozione per i mostri sacri del passato e la spinta verso il salto generazionale. Con quest'ultimo sembra arrivare anche un salto di pubblico, sempre più "democratico" e meno legato all'aspetto nazional-popolare.

Prima di chiudere, vorrei precisare una cosa: il bellissimo libro di Edna O'Brien, che dà il titolo al post, non c'entra nulla con il country americano. Ha solo offerto lo spunto, vista la storia di crescita, emancipazione e scoperta. In questo caso, però, protagoniste sono le campagne irlandesi.

Martina

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