LA CANZONE CLASSICA NAPOLETANA E L'AMORE PER LA TRADIZIONE POPOLARE: INTERVISTA AD ISABELLA ALFANO.
L'estate è andata, ma mi auguro che tutti riescano a conservare, anche in piena ripresa, un po' di tempo per leggere. Oggi, su questi schermi, si torna a parlare di musica - e che musica - con una forma già sperimentata in passato: l'intervista! Protagoniste la nostra Marta (l'intervistante) e Isabella Alfano, giovane interprete di origini partenopee (l'intervistata). Come sempre, se ne esce arricchiti.
Martina
“Napoli stessa è una canzone”: così troviamo scritto sulla copertina di “Ti voglio bene assai” di Luciano De Crescenzo, e questo Isabella Alfano, giovane artista emergente, che ha studiato al Saint Louis College of Music, lo sa bene. Nonostante sia nata a Roma, vanta origini napoletane, origini che, a quanto pare, le hanno giovato enormemente. E' talmente brava nell'esecuzione di “Reginella” o “Era de maggio”, in un perfetto dialetto partenopeo, che non ci sono dubbi che l'anima ed il cuore di Isabella appartengano totalmente alla meravigliosa Napoli, che l'ha sempre accolta con calore, durante gli spettacoli teatrali e musicali. Il suo è un repertorio definito dai musicologi come colto, anche se la canzone classica napoletana affonda le sue radici nella tradizione orale popolare medievale, iniziando a prendere forma nell'Ottocento dei Borbone, divenendo sempre più fiorente negli anni post- unitari, fino alla consacrazione nel periodo d'oro di inizio Novecento. Ho deciso di intervistare Isabella perché, oltre alla stima che ho nei suoi confronti, spero che la sua passione possa far riscoprire un mondo musicale antico, poetico ed elegante, nostalgico e sentimentale, che persino in America ci hanno sempre invidiato. Forse non tutti sanno che nel 1854 Stephen Foster pubblicò la sua “Social Orchestra”, una raccolta di trascrizioni strumentali per l'intrattenimento domestico in cui troviamo varie Italian melodies, oltre a 13 brani di Donizetti. Altro esempio assai conosciuto è quello del grande tenore Enrico Caruso, che incise dal 1904 circa per la Victor di New York, ma è la profonda curiosità nutrita dall’etnomusicologo statunitense e collezionista di canto popolare Alan Lomax nell’esaminare la ricchezza del folk nostrano, che ha destato in me interesse. Tra il 1954 ed il 1955, Lomax girò le varie Regioni italiane, notando quanto ognuna avesse mantenuto negli anni una propria autonomia musicale. Grazie all’aiuto di Diego Carpitella, suo fidato collaboratore, giunse a Napoli, dove registrò sul campo melodie tradizionali come “Funiculì, funiculà” e “Come back to Sorrento”, tracce entrambe incorporate nell’album “Traditional Music and Songs of Italy”, del 1958. Il materiale che Lomax raccolse lo entusiasmò talmente tanto da voler pubblicare numerosi lavori dedicati all’Italia, come anche “Italian Treasury: Folk Music and Song of Italy”, in cui troviamo la “Ninna Nanna” quasi urlata da una donna di Positano, la divertente “Olive Pressing Song”, ed ovviamente, “Tammurriata”. Il nostro Paese si mostrò sorprendentemente spontaneo, con culture musicali tradizionali dell’Italia preindustriale e pretecnologica, costituite da storie di pastori, operai, agricoltori, pescatori, artigiani, che Alan Lomax non potè di certo ignorare. Mi sembra privo di contestazione, dunque, il fatto che la tradizione popolare, soprattutto quella partenopea, venga definita come un vero e proprio “treasure”.
(Ph. Adriano Di Benedetto)
1.“Te vojo bene assaje” vinse nel 1839 il primo concorso canoro abbinato alla Festa religiosa di Piedigrotta, di origini Duecentesche. Qual è l'importanza musicale e storica di questa canzone, citata anche da Luciano De Crescenzo?
“Te vojo bene assaje” è forse uno dei pezzi più conosciuti e cantati della tradizione napoletana; con la vittoria alla gara canora della Festa di Piedigrotta, segnò il passaggio dalla musica popolare alla canzone d'autore, ed ebbe proprio nel ’39 (presentato però anni prima in forma non ufficiale), un successo travolgente, che lo portò a vendere un numero elevatissimo (soprattutto considerato il periodo) di Copielle: circa 180.000. Le Copielle erano delle partiture musicali, stampate dalle case editrici locali, contenenti testo e linea melodica del brano più affermato ed in voga. L'amore struggente non corrisposto, che consuma l'anima, di questo semplice capolavoro, appassionò poi talmente tanto il pubblico, che ascoltatori ed interpreti ne fecero numerose versioni, rendendolo così uno dei pezzi maggiormente eseguiti ed amati. Si narra che addirittura alcuni decisero di allontanarsi da Napoli per togliersi dalle orecchie quella melodia, leggenda poco credibile data la beltà della canzone. Lo stesso De Crescenzo, come accennavi nella domanda, la italianizzò in "Ti voglio bene assai", per farne il titolo del suo libro, in cui tra l'altro raccontò teneramente di quante volte l'abbia dedicata alla sua Bettina, che da ragazzino lo fece assai penare. Diverse sono le teorie su chi possa aver scritto questa meravigliosa canzone; il testo pare sia ufficialmente di Raffaele Sacco, musicato da Campanella, ma molti ne attribuiscono la paternità musicale a Donizetti, il quale alimentò il dubbio non rivendicandola mai.
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2.Ci sono tantissimi artisti, parolieri, di formazione colta, che emersero tra l'Ottocento ed il Novecento. Di quali vorresti brevemente parlarci e, soprattutto, quali loro testi hai amato particolarmente interpretare?
Esatto, proprio a cavallo tra l’Ottocento ed il Novecento troviamo i più grandi autori della canzone classica napoletana; Napoli ha sfornato artisti raffinati che tutto il mondo ancora apprezza enormemente. Mi piacerebbe citarli tutti, ma mi limiterò a quelli che ritengo più importanti e significativi, collegandovi i relativi brani che ho scelto per il mio repertorio.
Salvatore di Giacomo, nato nel 1860, è stato sicuramente uno dei più famosi poeti e drammaturghi italiani che, insieme a L. Bovio e E.A. Mario, segnò l’epoca d’oro della canzone napoletana. E' sua "Era de maggio" del 1885, messa in musica da Mario Pasquale Costa, una delle mie preferite, forse per la purezza e l'intensità di un amore estivo, che nonostante lo scorrere del tempo, ancora viene ricordato dai due giovani. I suoi versi, secondo me, sono tra i più belli che siano stati mai concepiti:"E so' turnato, e mo, comm'a na vota, cantammo nzieme lu mutivo antico/ passa lu tiempo e lu munno s'avota/ ma ammore vero, no, nun vota vico".
Un altro brano che voglio citare per la sua finezza è "Marechiare" del 1886, dedicato invece alla famosa e romantica "fenestella" di Napoli. Di Giacomo fece la sua prima gita a Marechiaro e si fermò a mangiare in un'osteria nei dintorni della fenestella. Vide i fiori, Carolina e la finestra e "mettette tutto dint'a canzone".
"Chi dice ca li stelle so' lucente nun sape st'uocchie ca tu tiene nfronte. Scétete Carulì, ca ll'aria è doce/ quanno maie tanto tiempo aggio aspettato?"
Non posso poi non nominare Eduardo Di Capua, che diede vita, affiancato da Vincenzo Russo, ai successi internazionali "'O Sole Mio" , la dolce “I' te vurria vasà" e "Maria Mari". Per concludere, posso dire di essere particolarmente legata a Raffaele Viviani, classe 1888, non solo perché nacque nello stesso paese di mia nonna paterna, ma anche per il suo innegabile contributo artistico: fu bambino prodigio, attore, autore, commediografo, compositore e traduttore. Preferiva i quartieri popolari come ambientazione per le sue opere, perché lì poteva ricercare un'autentica profondità emotiva. Di suo eseguo spesso "Bammenella", scritta nel 1912.
3.“Bammenella” possiamo definirla una canzone controversa per l'epoca, legata ancora a canoni femminili rassicuranti. Qual è la tragica storia della prostituta Ines, incarnazione della Napoli degli emarginati e dei reietti?
Come ho già accennato nella risposta precedente, Raffaele Viviani è uno degli autori che prediligo e Bammenella è una delle canzoni alla quale sono più avvinta, sia per la complessità di scrittura e tematica sociale, sia perché interpretare questa figura è stato per me arricchente. Ora vi spiegherò il perché. Questo brano lo compose Viviani per la sua commedia “Toledo di notte”, che aveva come ambientazione i Quartieri Spagnoli di Napoli, dove si svolgevano le storie di vita quotidiana della gente semplice, di strada. Ines, detta “Bammenella”, è uno dei personaggi chiave di questa commedia, carica di umanità: è la prostituta che nutre un amore esclusivo nei confronti del suo uomo (e protettore), ormai malato da qualche mese. Nei Quartieri Spagnoli è molto famosa, talmente bella da far perdere la testa a uomini di potere, come medici o brigadieri, che al suo passaggio dimenticano addirittura di avere una divisa addosso. La famosa “Bammenella e copp' e Quartiere” ha però un solo obiettivo: portare i soldi al suo amato che, invece di esserle grato, spesso al suo rientro la picchia, cosa che lei interpreta erroneamente come una dimostrazione d’amore. “E tutte sserate, chillo mm’accide ‘e mazzate! Mme vò’ nu bene sfrenato, ma nun ‘o ddá a paré’!…”.
La cosa che mi colpisce è che questo amore malato, morboso, di una donna che volontariamente rimane sottomessa al suo uomo, come se fosse normale in un rapporto affettivo, ricorda situazioni di tremenda attualità. Se da un lato emerge lo sfruttamento, la furbizia, l’amore “sporco” tra il carnefice e chi subisce, non si può negare che Ines appaia come una donna forte, passionale e protettiva, fedele a colui che porta saldamente nel cuore.
“Io ll’aggio ditto: Sta’ senza paura, pe’ te, ce stóngo io ccá!…”
E’ ovviamente una figura femminile molto distante dal mio universo personale, per questa ragione è stato complicato entrare subito nel personaggio anche se, devo dire, ne sono rimasta talmente coinvolta emotivamente, da riuscire a percepire la desolazione di una vita così drammatica e priva di libertà.
4. Le vicende sociali, esternate con tenera malinconia e tristezza, di una città dai quartieri pieni di sofferenza e miseria, denunciate da Matilde Serao nel suo “Ventre di Napoli” (1884), ma soprattutto quelle di un popolo costretto ad emigrare per cercare fortuna,in quale emblematica canzone, secondo te, possiamo ravvisarle?
Mi viene subito da pensare a “Lacreme Napulitane”, scritta dal poeta Libero Bovio nel 1925 e musicata da Francesco Buongiovanni. E' un racconto che narra, tramite la lettera di un giovane emigrato in America che scrive all'anziana madre, rimasta a Napoli con i figli, la solitudine, il dolore e la profonda devozione verso la propria famiglia e città, la dignità composta, il sacrificio; sentimenti propri di tanti meridionali indotti a lasciare i propri cari, rimasti senza terra, visto che gli appezzamenti erano sempre più piccoli e scarsamente produttivi, e senza lavoro.
“Mia cara madre sta pe' trasi' natale, e a sta' luntano chiu' me sape amaro/ Facite quanno è a sera da' vigilia comme si' mmiezo a vuje stesse pur' io, e 'nce ne costa lacreme st' america a nuje napulitane, pe' nuie ca 'nce chiagnimmo o cielo e napule comme è amaro stu' pane”. Questi immortali versi riescono sempre a toccarmi il cuore e commuovermi, mi richiamano alla mente i tanti che sono partiti, confidando nel mito americano di ricchezza, e che non sono più potuti tornare a guardare “o cielo e napule”.
5. Sei stata in scena nello spettacolo teatrale e musicale “Pigliate 'sta pastiglia”, sia nei teatri Prati e Arcobaleno di Roma, sia al Teatro Totò di Napoli, con il chitarrista Mariano Perrella, già veterano del mondo dello spettacolo (membro dello storico gruppo de “I Pandemonium”), il Maestro Mario Vicari e Vittorio Marsiglia, noto attore teatrale e cinematografico campano. Avete riproposto con successo sketch, macchiette e canzoni popolari, proprie della tradizione teatrale napoletana del Varietà. Che tipo di esperienza è stata, per la tua formazione artistica e personale?
“Pigliate ‘sta Pastiglia” è stata un’esperienza totalmente diversa dalle mie precedenti. Per quanto avessi già cantato nei musical, come ad esempio in “Forza Venite Gente” nel ruolo di Santa Chiara, mi sono ritrovata a dover calcare la scena di un palco teatrale spesso totalmente da sola. Questo viaggio formativo mi ha permesso di interpretare varie parti, talvolta anche opposte fra loro, ognuna con una caratterizzazione diversa, e non nego che a tratti è stato anche molto faticoso; dovevo cambiarmi velocemente di abito in camerino e tornare in scena già preparata, vocalmente e mentalmente, per impersonare il personaggio di turno, ma grazie all’aiuto ed ai consigli dei miei colleghi dal background artistico di alto livello, sono riuscita ad apprendere molte cose che mi sono state utili, crescendo professionalmente, soprattutto dal punto di vista recitativo.
Anche il personaggio di Ninì Tirabusciò, come Bammenella, inizialmente ha suscitato in me un po' di preoccupazione, essendo stato il primo da me interpretato con un reale abito di scena creato ad hoc dalla sarta: l'iconico costume della sciantosa con corpetto, reggicalze e gonna svolazzante. E’ stato sicuramente impegnativo, ma anche molto divertente e stimolante. Mi sono affidata ad una coreografa per utilizzare al meglio gli spazi e farmi sciogliere di più nel ricreare la famosa “mossa” ammiccante e seducente di Ninì, un movimento ancheggiante flessuoso che acquista progressivamente velocità, accompagnato dal rullo di tamburo. Prima di cimentarmi nella parte ho studiato a lungo la storia del personaggio, per essere il più preparata possibile; ho visto i video delle altre attrici e cantanti come Monica Vitti o Angela Luce, leggendarie e memorabili interpreti di questo brano del 1911 di Salvatore Gambardella ed Aniello Califano. Considerate che oggi, di fronte ad una “mossa” del genere ormai definita arcaica, non ci scandalizziamo, ma ai tempi le sciantose erano viste come donne avvenenti ma frivole, le prede preferite dei giovani borghesi e dei loro desideri ed impulsi, delle autentiche dive veraci ed irriverenti del Varietà, in un mondo scomparso fatto di lustrini, luci, canzoni e amori dietro le quinte. E' stato un duro lavoro per me, ma devo dire che gli applausi del pubblico mi hanno nettamente ripagata. La parte più bella in quanto artista.
7. E il tuo ultimo spettacolo “Canzonando”, sempre al Teatro Prati (con gli stessi straordinari colleghi di “Pigliate 'sta pastiglia”), in scena poco prima della pandemia, in cosa differisce dagli altri?
Anche “Canzonando” è stato un nostro omaggio alla tradizione musicale partenopea, che differisce dal primo spettacolo sia per la scenografia, che per l'ambientazione. Se in “Pigliate ‘sta Pastiglia” avevamo lo scopo di distribuire pillole d’amore, di passione e di divertimento, collegando ad ogni tematica il più bel repertorio napoletano, in “Canzonando” abbiamo cercato di riprodurre il “café-concert”, più comunemente chiamato “café-chantant”. Il cafè-chantant, italianizzato in “caffè-concerto”, era uno spettacolo di origine parigina del '700, che arrivò con fortuna nella Napoli ottocentesca, proposto in locali ostentatamente mondani, dove si poteva anche bere e mangiare durante le esibizioni. Un chiaro esempio: Il Salone Margherita, inaugurato nel 1890, sulla scia del Moulin Rouge francese, che divenne ben presto l'emblema della Belle époque italiana, fino alla crisi degli inizi del '900, con l'avvento della “sceneggiata”. Il caffè-concerto consisteva nella rappresentazione teatrale di arte varia, a partire ovviamente dalla canzone, fino ad arrivare ai giochi di prestigio degli illusionisti, balletti delle soubrette, scenette divertenti con stacchetti musicali. La finalità di “Canzonando”, dunque, per noi è stata proprio questa: regalare al pubblico la bella musica e l'intrattenimento gioioso, come una volta!
8. “'Na chitarra e doje voce” è il tuo primo CD, inciso in coppia col chitarrista Mariano Perrella, in cui troviamo tracce come “O surdato 'nnammurato” e “Serenata Napulitana”, che hanno fatto la storia della musica nostrana. So che la copertina hai voluto disegnarla tu, seguendo le orme di Joni Mitchell, che altro vuoi raccontarci affinché i nostri amici lettori si appassionino e vogliano acquistarlo?
“Na chitarra e doje voce” è un disco di canzoni napoletane nato per un motivo ben preciso.
Circa un anno fa, io e Mariano Perrella siamo stati chiamati a cantare in Costa Azzurra per due serate, la prima in un bellissimo teatro a Saint-Raphael e la seconda in un locale per concerti, dove già sapevamo che ci sarebbero venuti ad ascoltare italo-francesi ed italiani residenti lì. Proprio per questo abbiamo deciso di registrare i pezzi più conosciuti all'estero, insieme ad altri di nicchia, racchiudendoli in un unico disco, di modo da poter lasciare un ricordo a quel pubblico così tanto appassionato alla nostra tradizione. Per quanto riguarda la copertina di “Na chitarra e doje voce”, posso raccontarvi un aneddoto simpatico, diciamo che è nata quasi per caso. E' vero che sono stata particolarmente ispirata appunto da Joni Mitchell, ed uno dei suoi album che preferisco infatti è “Both Sides Now” , con l'autoritratto in primo piano della cantautrice, ma in realtà io inizialmente avevo in mente una foto ben precisa: in mezzo alla natura, con Mariano seduto sull’erba a gambe incrociate, la chitarra posata sulle sue ginocchia, io accanto a lui, sdraiata e spensierata a pancia in giù a cantare. La modalità più semplice per poter spiegare a Mariano l’immagine che avevo in testa era quella di disegnargliela, così tramite WhatsApp ho preso uno sfondo nero ed ho tracciato sullo schermo le posizioni che avremmo dovuto prendere per lo scatto. Quel nostro ritratto improvvisato, molto minimal e divertente, gli è piaciuto moltissimo, tanto da propormi di inserire quella. Nonostante io non abbia l'inclinazione per il disegno come Joni Mitchell, il risultato è stato lo stesso originale ed ha anche avuto un inaspettato successo, cosa che mi ha resa davvero felice.
9.Ed invece, quali sono i tuoi progetti artistici futuri?
E’ difficile in questo momento poter parlare di progetti futuri per gli artisti, ma in generale per tutti i lavoratori. E’ stato un momento molto particolare, un blocco che però, devo dire, a me ha giovato molto. Ho ripreso strumenti musicali che avevo messo da parte, ma soprattutto ho ricominciato a concentrarmi su pezzi che avevo in passato già iniziato a scrivere, con la speranza di riuscire a debuttare, a livello discografico, finalmente con miei brani inediti. Il teatro dedicato alla tradizione napoletana musicale e non solo, andrà avanti anche con cose nuove , sono fiduciosa e vorrei dare anche io qualcosa in più. Un’idea che mi frulla in testa da qualche tempo è infatti quella di approfondire il mondo partenopeo, non solo cantando e ricercando spartiti per trovare canzoni nuove ( negli ultimi mesi ho comprato quattro raccolte ), ma arrivando a suonare anche uno strumento tipicamente popolare, completandomi. La scelta è così ricaduta sulla “Tammorra”, che vanta origini antichissime. Usato un tempo durante i festeggiamenti dopo il raccolto propizio, nei campi e sulle aie, è uno strumento percussivo che viene spesso utilizzato per accompagnare la voce. Mi è capitato di assistere a Napoli proprio ad esibizioni di sola voce e Tammorra, in locali caratteristici, e devo dire che il connubio mi è parso veramente funzionale. Per chi non lo sapesse, la Tammorra, da non confondere con il tamburello napoletano ( sia per grandezza che per modalità di utilizzo) , è un grande tamburo a cornice formato da una membrana di pelle essiccata tesa su un telaio in legno, di forma circolare, e bucato tutto intorno per collocare sonagli di latta chiamati ciceri o cimbali. Non vedo l'ora di poter iniziare!
Per usare le parole di Eduardo De Filippo:” Napule è 'nu paese curiuso, è 'nu teatro antico, sempre apierto. Ce nasce gente ca senza cuncierto, scenne p' 'e strate e sape recità”. Grazie ad Isabella, siamo tornati indietro nel tempo, ci siamo immersi in quel “teatro” dalle strade anguste e pittoresche, risonanti di brani sublimi, imperituri, pregni di amori incondizionati, amarezze, compianto e “rinunzia”, testi intramontabili dell'eccellenza della canzone italiana, accompagnati talvolta dal mandolino, chitarra, tammurrielli, putipù e triccheballacche. Lo stesso Benedetto Croce, fervente studioso e custode della Napoli antica e genuina che difese strenuamente dal degrado, investì le proprie energie per far conoscere la cultura partenopea, dedicandosi a ricerche che ne evidenziassero i preziosi tesori (come possiamo vedere in “Storie e leggende napoletane” del 1919, in cui viene evocato lo spirito della città, fatto di cronache e vicende disparate, che ancora agitavano quei luoghi), dando addirittura vita, su proposta di Salvatore Di Giacomo, nel 1892 alla rivista “Napoli Nobilissima”. D'altronde, “il legame sentimentale col passato prepara e aiuta l’intelligenza storica, condizione di ogni vero avanzamento civile, e soprattutto assai ingentilisce gli animi”.
“Quando levandomi dal tavolino, mi affaccio al balcone della mia stanza, l'occhio scorre sulle vetuste fabbriche che sorgono all'incrocio della via Trinità Maggiore con quelle di San Sebastiano e Santa Chiara.[...]Di là dal campanile, mi si profila come in fuga il muro merlato dell'immenso monastero che la vita moderna ha assediato finora indarno delle sue cupide brame, e dove persistono ancora alcune poche suore vecchissime, dai nomi aristocratici, ultime rappresentazioni del trecento della più altera nobiltà napoletana, che soleva accogliere ai tempi del suo massimo splendore […] E' dolce sentirsi chiusi nel grembo di queste vecchie fabbriche”.
Questo era ciò che animava Croce, ed è lo stesso che sono sicura alimenti la passione di questa talentuosa interprete. Coraggiosamente, nonostante il genere sia stato definito ormai desueto e superato, testimone di un'epoca che non ritornerà più, snobbato dalla nostra generazione e dal mercato discografico, Isabella Alfano sta portando avanti il suo lavoro di alto spessore, per mantenere ancora vivo questo patrimonio collettivo, che spero non venga mai dimenticato.
Marta D'Ambrosio
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